venerdì 19 marzo 2010

Atto penitenziale (1)



Atto Penitenziale (1)
Tutto ciò introduce a quelli che sono i riti penitenziali che non sono in contraddizione con la dignità dell’uomo, ma si pongono proprio nel senso della verità dell’uomo e del suo senso più profondo. La coscienza di sé è espressione della coscienza di una Presenza che eleva l’uomo alla dignità, ma proprio perché ne conosce il limite e la finitudine.

Segue l’ATTO PENITENZIALE. Il sacerdote invita i fedeli al pentimento con queste parole o con altre simili.

1a formula: Fratelli,
per celebrare degnamente i santi misteri,
riconosciamo i nostri peccati.

* Oppure:

Il Signore Gesù,
che ci invita alla mensa della Parola e dell'Eucaristia,
ci chiama alla conversione.
Riconosciamo di essere peccatori
e invochiamo con fiducia la misericordia di Dio.

* Oppure, specialmente nelle domeniche:

Nel giorno in cui celebriamo
la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte,
anche noi siamo chiamati a morire al peccato
per risorgere alla vita nuova.
Riconosciamoci bisognosi della misericordia del Padre.

Si fa una breve pausa di silenzio.


Poi tutti insieme fanno la confessione:

Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli,
che ho molto peccato
in pensieri, parole, opere e omissioni,

e, battendosi il petto, dicono:

per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa.

E proseguono:
E supplico la beata sempre vergine Maria,
gli angeli, i santi e voi, fratelli,
di pregare per me il Signore Dio nostro.

Segue l’assoluzione del sacerdote:

Dio onnipotente abbia misericordia di noi,
perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna.

Il popolo risponde: Amen.
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2a formula: All’inizio di questa celebrazione eucaristica,
chiediamo la conversione del cuore,
fonte di riconciliazione e di comunione
con Dio e con i fratelli.

* Oppure:

Umili e pentiti come il pubblicano al tempio,
accostiamoci al Dio giusto e santo,
perché abbia pietà anche di noi peccatori.

Si fa una breve pausa di silenzio.

Poi il sacerdote dice:

Pietà di noi, Signore.

Il popolo risponde:

Contro di te abbiamo peccato.

Il sacerdote prosegue:

Mostraci, Signore, la tua misericordia.

Il popolo risponde:

E donaci la tua salvezza.

Segue l’assoluzione del sacerdote, come indicato prima.


3a formula: Gesù Cristo, il giusto, intercede per noi
e ci riconcilia con il Padre.
Apriamo il nostro spirito al pentimento,
per essere meno indegni
di accostarci alla mensa del Signore.

* Oppure:

Il Signore ha detto:
chi di voi è senza peccato, scagli la prima Pietro.
Riconosciamoci tutti peccatori
e perdoniamoci a vicenda dal profondo del cuore.

Si fa una breve pausa di silenzio.


Poi il sacerdote, o un altro ministro idoneo, dice o canta le seguenti invocazioni o altre simili:

Signore,
mandato dal Padre a salvare i contriti di cuore,
abbi pietà di noi.

Il popolo risponde:

Signore, pietà. oppure: Kỳrie, elèison.

Sacerdote:

Cristo, che sei venuto a chiamare i peccatori,
abbi pietà di noi.

Il popolo risponde:

Cristo, pietà. oppure: Christe, elèison.

Sacerdote:

Signore, che intercedi per noi presso il Padre,
abbi pietà di noi.

Il popolo risponde:

Signore, pietà. oppure: Kỳrie, elèison.

Segue l’assoluzione del sacerdote, come indicato prima.
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Seguono le INVOCAZIONI Signore, pietà, se non sono state già dette o cantate per l’atto penitenziale.

V. Signore, pietà. oppure: V. Kỳrie, elèison.

R. Signore, pietà. R.Kỳrie, elèison


V. Cristo, pietà. V. Christe, elèison.

R. Cristo, pietà. R. Christe, elèison.

V. Signore, pietà. V. Kỳrie, elèison.

R. Signore, pietà. R. Kỳrie, elèison





Fratelli,
per celebrare degnamente i santi misteri,
riconosciamo i nostri peccati.



Come è evidente il riconoscimento dei peccati non è finalizzato ad un’accusa sterile, quasi ad un piangere sopra se stessi (questo è il rimorso, tanto inutile quanto devastante). Esso è invece finalizzato alla Celebrazione del Mistero a sua volta tesa alla Lode senza fine del Regno, dunque alla pienezza della propria dignità umana e cristiana.

Riconoscere il proprio peccato vuol dire, con molta semplicità, riconoscere che c’è un amore più grande che ci viene incontro e ci visita laddove siamo, non nelle nostre immagini in parte veritiere, ma nella nostra realtà quotidiana fatta di luci ed ombre, che ovviamente, dinanzi alla Luce, divengono più lunghe e perciò maggiormente conoscibili.

Desidero brevemente soffermarmi sulla formula domenicale, che è a mio avviso, molto interessante

Nel giorno in cui celebriamo
la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte,
anche noi siamo chiamati a morire al peccato
per risorgere alla vita nuova.
Riconosciamoci bisognosi della misericordia del Padre.

Il riconoscimento del peccato è incluso all’interno dell’esperienza di morte e Resurrezione del Cristo, poiché egli, per primo, è entrato nell’antro della morte (giunta al mondo attraverso il peccato) e l’ha fecondata della sua vita. Entrare perciò anche noi, con Lui, nella nostra realtà di peccato, vuol dire fecondare ciò che è infecondo, dare vita a ciò che è segno stesso della morte. Riconoscersi bisognosi della Misericordia del Padre, infine, è un atto di fede nel suo amore ed un superamento tout court del nostro giudizio su noi stessi e sulla nostra storia. Se il Padre ci ha donato il Cristo, perché visitasse le lande desolate del nostro peccato e si facesse addirittura peccato per noi sulla Croce, non c’è motivo per non affidarci integralmente alla sua Misericordia, credendo che quello che Cristo ha compiuto è valido per noi oggi. Come si comprende questa è un’attività interiore che solo lo Spirito Santo può donarci.

Si fa una breve pausa di silenzio.
Poi tutti insieme fanno la confessione: Segue una pausa di silenzio dopo la quale tutta la comunità nel suo insieme riconosce la propria fragilità. E’ vero, il soggetto del “Confesso” che segue subito è la prima persona singolare, ma il senso del pregarlo insieme sta proprio in quel riconoscere nel fratello il proprio peccato, il proprio male, per due motivi fondamentali: distogliere il giudizio sull’altro e pregare per l’altro, perché tutti e ciascuno si possa giungere al Regno. Vediamo perciò adesso il “Confesso”



Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli, che ho molto peccato: la confessione è innanzi tutto un atto di fede nell’Onnipotenza di Dio, il quale manifesta tale sua prerogativa nella forza che ha di distruggere il male ed il peccato con il suo infinito amore. Confessare a Dio, vuol dire, in fondo, confessare che solo Lui può liberarci dal male, slegare le nostre catene ed in questo darci una vita nuova da noi neppure immaginabile, perché fondata sull’Amore.
in pensieri, parole, opere e omissioni : il raggio del peccato, per i cristiani, non si estende solo agli atti, ma anche ai desideri, ai pensieri a tutto ciò che non sempre è visibile e ch’eppure rode come un tarlo la nostra dignità di figli. Rilevante è anche il fatto che il peccato è esteso all’omissione, a ciò addirittura che non è fatto, non è compiuto. In genere, quando ci si accusa, è per qualcosa che non solo è divenuto visibile, ma si è manifestato come male. Le omissioni, invece non solo non si manifestano, ma sono indice di uno sguardo ch non si è volto con attenzione verso un fuoco al quale invece doveva volgersi. Sono espressione di mancanza di coraggio cristiano, di omertà connivente, per questo esse sono un peccato di una certa gravità, spesso tralasciato anche nella confessione personale.


e, battendosi il petto, dicono:

per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa.

E proseguono:
E supplico la beata sempre vergine Maria,
gli angeli, i santi e voi, fratelli,
di pregare per me il Signore Dio nostro.

Battersi il petto, ha un significato veramente penitenziale. Tale gesto è, infatti, collegato con il centro stesso dell’uomo (almeno simbolicamente), il cuore, per tale motivo rimane, come anche nella tradizione ebraica, una manifestazione di contrizione.

Risulta notevole anche il passaggio
per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa

che nonostante risulti ostico alla nostra moderna mentalità ha invece un’importanza fondamentale. Con un linguaggio un po’ desueto essa afferma, infatti, la responsabilità della colpa, attribuendo alla persona nella sua realtà concreta il “peso” di quanto compiuto. In un contesto nel quale l’uomo tende a scaricare ad altri, alle situazioni, le colpe, il confesso ricorda invece che c’è una realtà fondamentale che è la libertà della persona di aderire o meno al male, di farlo proprio o di rifiutarlo. Responsabilità che non è tesa a schiacciare la persona, ma a donarle la liberazione. Solo nel momento in cui si ammette, dinanzi ad un amore più grande, la propria responsabilità, ci si può realmente sentire perdonati ed accettati. In questo la differenza profonda anche tra l’operare di Dio e quello del nemico: mentre l’amore, infatti, riconosce le colpe e le perdona in un amore più grande, il nemico le getta sul volto dell’uomo manifestandogli il suo male e la sua indegnità. Dio, insomma, nel peccato vede e continua a vedere la dignità dell’uomo perché nel volto della sua creatura vede se stesso, il demonio invece conducendo l’uomo al peccato, glielo ritorce contro, perché il volto della persona sia sempre più devastato ad immagine di quello del tentatore. Nel lasciare perciò all’uomo la libertà di riconoscersi peccatore, il Signore prende seriamente la sua libertà (e la libertà presuppone una responsabilità delle proprie azioni o desideri) ed in questo opera la liberazione che l’uomo stesso attende. Non più giustificazioni o scusanti, dunque, ma la presa di coscienza della propria dimensione di libertà.



E supplico la beata sempre vergine Maria,
gli angeli, i santi e voi, fratelli,
di pregare per me il Signore Dio nostro.

La preghiera si conclude con un invocazione corale a tutta la Chiesa, militante e gloriosa, perché possa innalzare al Signore una preghiera per il penitente, in modo tale da accompagnarlo nel suo cammino di liberazione dal peccato e della morte. E’ in questo momento che si ritrova, nella liturgia romana, la prima invocazione alla Vergine, riconosciuta come eccellente nella sua santità e per tale motivo immagine profonda dell’uomo pienamente rinnovato. Maria si presenta inoltre come colei che intercede presso il Trono di Dio per i peccatori. Ella, liberata per prima dal peccato, può intercedere perché anche i figli della Chiesa siano liberi.

Segue l’assoluzione del sacerdote:

Dio onnipotente abbia misericordia di noi,
perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna.

Il popolo risponde: Amen.


Segue l’assoluzione del sacerdote, che non è da intendersi come quella celebrata nella riconciliazione, la quale rimane comunque necessaria, ma è pur sempre un momento di remissione del peccato e di presa di coscienza della misericordia di Dio per l’uomo.

Si fa una breve pausa di silenzio

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