venerdì 19 marzo 2010

Atto penitenziale (1)



Atto Penitenziale (1)
Tutto ciò introduce a quelli che sono i riti penitenziali che non sono in contraddizione con la dignità dell’uomo, ma si pongono proprio nel senso della verità dell’uomo e del suo senso più profondo. La coscienza di sé è espressione della coscienza di una Presenza che eleva l’uomo alla dignità, ma proprio perché ne conosce il limite e la finitudine.

Segue l’ATTO PENITENZIALE. Il sacerdote invita i fedeli al pentimento con queste parole o con altre simili.

1a formula: Fratelli,
per celebrare degnamente i santi misteri,
riconosciamo i nostri peccati.

* Oppure:

Il Signore Gesù,
che ci invita alla mensa della Parola e dell'Eucaristia,
ci chiama alla conversione.
Riconosciamo di essere peccatori
e invochiamo con fiducia la misericordia di Dio.

* Oppure, specialmente nelle domeniche:

Nel giorno in cui celebriamo
la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte,
anche noi siamo chiamati a morire al peccato
per risorgere alla vita nuova.
Riconosciamoci bisognosi della misericordia del Padre.

Si fa una breve pausa di silenzio.


Poi tutti insieme fanno la confessione:

Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli,
che ho molto peccato
in pensieri, parole, opere e omissioni,

e, battendosi il petto, dicono:

per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa.

E proseguono:
E supplico la beata sempre vergine Maria,
gli angeli, i santi e voi, fratelli,
di pregare per me il Signore Dio nostro.

Segue l’assoluzione del sacerdote:

Dio onnipotente abbia misericordia di noi,
perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna.

Il popolo risponde: Amen.
____________________________________________________________
2a formula: All’inizio di questa celebrazione eucaristica,
chiediamo la conversione del cuore,
fonte di riconciliazione e di comunione
con Dio e con i fratelli.

* Oppure:

Umili e pentiti come il pubblicano al tempio,
accostiamoci al Dio giusto e santo,
perché abbia pietà anche di noi peccatori.

Si fa una breve pausa di silenzio.

Poi il sacerdote dice:

Pietà di noi, Signore.

Il popolo risponde:

Contro di te abbiamo peccato.

Il sacerdote prosegue:

Mostraci, Signore, la tua misericordia.

Il popolo risponde:

E donaci la tua salvezza.

Segue l’assoluzione del sacerdote, come indicato prima.


3a formula: Gesù Cristo, il giusto, intercede per noi
e ci riconcilia con il Padre.
Apriamo il nostro spirito al pentimento,
per essere meno indegni
di accostarci alla mensa del Signore.

* Oppure:

Il Signore ha detto:
chi di voi è senza peccato, scagli la prima Pietro.
Riconosciamoci tutti peccatori
e perdoniamoci a vicenda dal profondo del cuore.

Si fa una breve pausa di silenzio.


Poi il sacerdote, o un altro ministro idoneo, dice o canta le seguenti invocazioni o altre simili:

Signore,
mandato dal Padre a salvare i contriti di cuore,
abbi pietà di noi.

Il popolo risponde:

Signore, pietà. oppure: Kỳrie, elèison.

Sacerdote:

Cristo, che sei venuto a chiamare i peccatori,
abbi pietà di noi.

Il popolo risponde:

Cristo, pietà. oppure: Christe, elèison.

Sacerdote:

Signore, che intercedi per noi presso il Padre,
abbi pietà di noi.

Il popolo risponde:

Signore, pietà. oppure: Kỳrie, elèison.

Segue l’assoluzione del sacerdote, come indicato prima.
____________________________________________________________

Seguono le INVOCAZIONI Signore, pietà, se non sono state già dette o cantate per l’atto penitenziale.

V. Signore, pietà. oppure: V. Kỳrie, elèison.

R. Signore, pietà. R.Kỳrie, elèison


V. Cristo, pietà. V. Christe, elèison.

R. Cristo, pietà. R. Christe, elèison.

V. Signore, pietà. V. Kỳrie, elèison.

R. Signore, pietà. R. Kỳrie, elèison





Fratelli,
per celebrare degnamente i santi misteri,
riconosciamo i nostri peccati.



Come è evidente il riconoscimento dei peccati non è finalizzato ad un’accusa sterile, quasi ad un piangere sopra se stessi (questo è il rimorso, tanto inutile quanto devastante). Esso è invece finalizzato alla Celebrazione del Mistero a sua volta tesa alla Lode senza fine del Regno, dunque alla pienezza della propria dignità umana e cristiana.

Riconoscere il proprio peccato vuol dire, con molta semplicità, riconoscere che c’è un amore più grande che ci viene incontro e ci visita laddove siamo, non nelle nostre immagini in parte veritiere, ma nella nostra realtà quotidiana fatta di luci ed ombre, che ovviamente, dinanzi alla Luce, divengono più lunghe e perciò maggiormente conoscibili.

Desidero brevemente soffermarmi sulla formula domenicale, che è a mio avviso, molto interessante

Nel giorno in cui celebriamo
la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte,
anche noi siamo chiamati a morire al peccato
per risorgere alla vita nuova.
Riconosciamoci bisognosi della misericordia del Padre.

Il riconoscimento del peccato è incluso all’interno dell’esperienza di morte e Resurrezione del Cristo, poiché egli, per primo, è entrato nell’antro della morte (giunta al mondo attraverso il peccato) e l’ha fecondata della sua vita. Entrare perciò anche noi, con Lui, nella nostra realtà di peccato, vuol dire fecondare ciò che è infecondo, dare vita a ciò che è segno stesso della morte. Riconoscersi bisognosi della Misericordia del Padre, infine, è un atto di fede nel suo amore ed un superamento tout court del nostro giudizio su noi stessi e sulla nostra storia. Se il Padre ci ha donato il Cristo, perché visitasse le lande desolate del nostro peccato e si facesse addirittura peccato per noi sulla Croce, non c’è motivo per non affidarci integralmente alla sua Misericordia, credendo che quello che Cristo ha compiuto è valido per noi oggi. Come si comprende questa è un’attività interiore che solo lo Spirito Santo può donarci.

Si fa una breve pausa di silenzio.
Poi tutti insieme fanno la confessione: Segue una pausa di silenzio dopo la quale tutta la comunità nel suo insieme riconosce la propria fragilità. E’ vero, il soggetto del “Confesso” che segue subito è la prima persona singolare, ma il senso del pregarlo insieme sta proprio in quel riconoscere nel fratello il proprio peccato, il proprio male, per due motivi fondamentali: distogliere il giudizio sull’altro e pregare per l’altro, perché tutti e ciascuno si possa giungere al Regno. Vediamo perciò adesso il “Confesso”



Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli, che ho molto peccato: la confessione è innanzi tutto un atto di fede nell’Onnipotenza di Dio, il quale manifesta tale sua prerogativa nella forza che ha di distruggere il male ed il peccato con il suo infinito amore. Confessare a Dio, vuol dire, in fondo, confessare che solo Lui può liberarci dal male, slegare le nostre catene ed in questo darci una vita nuova da noi neppure immaginabile, perché fondata sull’Amore.
in pensieri, parole, opere e omissioni : il raggio del peccato, per i cristiani, non si estende solo agli atti, ma anche ai desideri, ai pensieri a tutto ciò che non sempre è visibile e ch’eppure rode come un tarlo la nostra dignità di figli. Rilevante è anche il fatto che il peccato è esteso all’omissione, a ciò addirittura che non è fatto, non è compiuto. In genere, quando ci si accusa, è per qualcosa che non solo è divenuto visibile, ma si è manifestato come male. Le omissioni, invece non solo non si manifestano, ma sono indice di uno sguardo ch non si è volto con attenzione verso un fuoco al quale invece doveva volgersi. Sono espressione di mancanza di coraggio cristiano, di omertà connivente, per questo esse sono un peccato di una certa gravità, spesso tralasciato anche nella confessione personale.


e, battendosi il petto, dicono:

per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa.

E proseguono:
E supplico la beata sempre vergine Maria,
gli angeli, i santi e voi, fratelli,
di pregare per me il Signore Dio nostro.

Battersi il petto, ha un significato veramente penitenziale. Tale gesto è, infatti, collegato con il centro stesso dell’uomo (almeno simbolicamente), il cuore, per tale motivo rimane, come anche nella tradizione ebraica, una manifestazione di contrizione.

Risulta notevole anche il passaggio
per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa

che nonostante risulti ostico alla nostra moderna mentalità ha invece un’importanza fondamentale. Con un linguaggio un po’ desueto essa afferma, infatti, la responsabilità della colpa, attribuendo alla persona nella sua realtà concreta il “peso” di quanto compiuto. In un contesto nel quale l’uomo tende a scaricare ad altri, alle situazioni, le colpe, il confesso ricorda invece che c’è una realtà fondamentale che è la libertà della persona di aderire o meno al male, di farlo proprio o di rifiutarlo. Responsabilità che non è tesa a schiacciare la persona, ma a donarle la liberazione. Solo nel momento in cui si ammette, dinanzi ad un amore più grande, la propria responsabilità, ci si può realmente sentire perdonati ed accettati. In questo la differenza profonda anche tra l’operare di Dio e quello del nemico: mentre l’amore, infatti, riconosce le colpe e le perdona in un amore più grande, il nemico le getta sul volto dell’uomo manifestandogli il suo male e la sua indegnità. Dio, insomma, nel peccato vede e continua a vedere la dignità dell’uomo perché nel volto della sua creatura vede se stesso, il demonio invece conducendo l’uomo al peccato, glielo ritorce contro, perché il volto della persona sia sempre più devastato ad immagine di quello del tentatore. Nel lasciare perciò all’uomo la libertà di riconoscersi peccatore, il Signore prende seriamente la sua libertà (e la libertà presuppone una responsabilità delle proprie azioni o desideri) ed in questo opera la liberazione che l’uomo stesso attende. Non più giustificazioni o scusanti, dunque, ma la presa di coscienza della propria dimensione di libertà.



E supplico la beata sempre vergine Maria,
gli angeli, i santi e voi, fratelli,
di pregare per me il Signore Dio nostro.

La preghiera si conclude con un invocazione corale a tutta la Chiesa, militante e gloriosa, perché possa innalzare al Signore una preghiera per il penitente, in modo tale da accompagnarlo nel suo cammino di liberazione dal peccato e della morte. E’ in questo momento che si ritrova, nella liturgia romana, la prima invocazione alla Vergine, riconosciuta come eccellente nella sua santità e per tale motivo immagine profonda dell’uomo pienamente rinnovato. Maria si presenta inoltre come colei che intercede presso il Trono di Dio per i peccatori. Ella, liberata per prima dal peccato, può intercedere perché anche i figli della Chiesa siano liberi.

Segue l’assoluzione del sacerdote:

Dio onnipotente abbia misericordia di noi,
perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna.

Il popolo risponde: Amen.


Segue l’assoluzione del sacerdote, che non è da intendersi come quella celebrata nella riconciliazione, la quale rimane comunque necessaria, ma è pur sempre un momento di remissione del peccato e di presa di coscienza della misericordia di Dio per l’uomo.

Si fa una breve pausa di silenzio

sabato 12 dicembre 2009

I riti d'ingresso (Prima riunione)


Riti d’ingresso

I riti che precedono la Liturgia della Parola, cioè l'introito, il saluto, l'atto penitenziale, il Kyrie eleison, il Gloria e l'orazione di colletta, hanno un carattere di inizio, di introduzione e di preparazione. Scopo di questi riti è che i fedeli, riuniti insieme, formino una comunità, e si dispongano ad ascoltare con fede la parola di Dio e a celebrare degnamente l'eucaristia.

La celebrazione Eucaristica si pensa inizi nel momento in cui il Presbitero accede all’altare. In realtà il momento d’inizio della celebrazione coincide con la decisione di rispondere alla chiamata del Signore che invita alla sua Mensa. Chiamata che si manifesta nell’invito della Comunità che si raduna da ogni parte per accedere al Pane e al Vino.
Questo implica subito che la preparazione all’incontro con il Padre che ci raduna intorno al Cristo, deve essere un momento fondamentale, importante, che si può estendere a tutta la settimana con un ascolto delle Scritture domenicali che in qualche modo nutra l’attesa. La celebrazione, infatti, piuttosto che un momento legato al “dovere”, era percepita dai primi cristiani (e così dovrebbe essere per noi) come l’importante incontro con chi, salvandoci, ci ha dato accesso al Regno e ci nutre per darci la forza di camminare verso il Cielo.

Il fatto di radunarsi nel “giorno del Signore”, è inoltre parte della Rivelazione biblica, poiché già l’Apocalisse riporta, in modo tecnico, questa dicitura riferendola a quella che sarebbe divenuta la domenica, vissuta sin dall’inizio come momento centrale di rinnovamento e di nuova effusione dello Spirito.

Ecco come il Messale esplicita l’inizio del rito della celebrazione Eucaristica:

Quando il popolo si è radunato:, il sacerdote con i ministri si reca all’altare; intanto si esegue il CANTO D’INGRESSO.

Giunto all’altare,il sacerdote con i ministri fa la debita riverenza, bacia l’altare in segno di venerazione ed eventualmente lo incensa. Poi, con i ministri si reca alla sede.

Terminato il canto d’ingresso, sacerdote e fedeli, in piedi, fanno il SEGNO DELLA CROCE.

Il sacerdote dice:

Nel nome del Padre del Figlio
e dello Spirito Santo.

Il popolo risponde: Amen.

Quando il popolo si è radunato: come si nota, il Messale sembra proprio indicare che la celebrazione stessa inizi non nel momento in cui il Presbitero avanza verso l’altare, ma precedentemente, perfino prima del raduno del popolo di Dio, cioè in quel rispondere alla chiamata del Padre della quale parlavamo.

il sacerdote con i ministri si reca all’altare; intanto si esegue il CANTO D’INGRESSO: Il canto è da sempre stato fondamentale nella celebrazione. Già il popolo ebraico, salendo verso Gerusalemme e verso il Tempio, cantava degli inni ascensionali, unendo al movimento fisico del salire, quello spirituale dell’incontro con Dio. Si noti inoltre come la Celebrazione non è legata alla singola figura presbiterale, ma presuppone la presenza di altri Ministri (lettori, accoliti, diaconi, ecc…).

Giunto all’altare, il sacerdote con i ministri fa la debita riverenza, bacia l’altare in segno di venerazione ed eventualmente lo incensa: l’altare è un luogo fondamentale per la celebrazione Eucaristica, poiché rappresenta Cristo stesso, il quale è dinanzi al Padre, contemporaneamente Mensa e Sacrificio. Per tale motivo l’altare può essere incensato e viene baciato. In questo senso esso non ha più la funzione che aveva (e che ha) nelle altre Religioni (luogo dove si compie il sacrificio, finalizzato ad ingraziarsi la divinità), ma è segno ed immagine di una persona vivente, ovvero il Cristo e del suo dono d’Amore. Per tale motivo tutti si rivolgono verso di esso, poiché è il luogo centrale della celebrazione.

Poi, con i ministri si reca alla sede: E’ importante rilevare che il secondo luogo fondamentale durante la celebrazione è il luogo della sede, della presidenza, poiché se è vero che nella comunità cristiana, ciò che unisce tutti i credenti è il comune Battesimo, è pur vero che nella celebrazione eucaristica a qualcuno è affidato il servizio della presidenza, cioè il ministero di ordinare la preghiera comune e di guidarla, perché ogni cosa avvenga in modo degno e “bello”.


Terminato il canto d’ingresso, sacerdote e fedeli, in piedi, fanno il SEGNO DELLA CROCE: Il segno della Croce è l’inizio del rito vero e proprio. Qualsiasi preghiera cristiana non può che iniziare in questo segno, attraverso il quale si celebra la fede nella Trinità e nella salvezza operata dal Cristo attraverso la Croce. Il popolo di Dio si ritrova in piedi, a testa alta, dinanzi al proprio Dio, non per superbia, ma poiché riconosce la dignità alla quale è chiamato, dignità acquistata dal sangue stesso del Signore. La risposta, Amen, vuol dire “Sì, lo credo, è vero”, dunque la celebrazione eucaristica inizia con un atto di fede fondamentale che tutta la comunità leva al suo Signore.

Segue il SALUTO, che il sacerdote rivolge al popolo allargando le braccia e dicendo:

La grazia del Signore nostro Gesù Cristo,
l'amore di Dio Padre
e la comunione dello Spirito Santo
sia con tutti voi. Cfr 2Cor 13,13

Il popolo risponde: E con il tuo spirito.

Oppure:
La grazia e la pace
di Dio nostro Padre
e del Signore nostro Gesù Cristo
sia con tutti voi. Cfr 1Cor 1,3

Il popolo risponde: E con il tuo spirito.
Oppure: Benedetto nei secoli il Signore.

Oppure:
Il Signore sia con voi.

Il vescovo dice: La pace sia con voi.
Il popolo risponde: E con il tuo spirito.

* Oppure:
Il Signore, che guida i nostri cuori
nell’amore e nella pazienza di Cristo,
sia con tutti voi Cfr 2 Ts 3,5

Il popolo risponde: E con il tuo spirito.

* Oppure:
Il Dio della speranza,
che ci riempie di ogni gioia
e pace nella fede
per la potenza dello Spirito Santo,
sia con tutti voi. Cfr Rm 15,13

Il popolo risponde: E con il tuo spirito.

* Oppure:
La pace, la carità e la fede
da parte di Dio Padre
e del Signore nostro Gesù Cristo
sia con tutti voi. Cfr Ef 6,23

Il popolo risponde: E con il tuo spirito.


* Oppure:
Fratelli, eletti secondo la prescienza di Dio Padre
mediante la santificazione dello Spirito
per obbedire a Gesù Cristo
e per essere aspersi del suo sangue,
grazia e pace in abbondanza a tutti voi. Cfr 1Pt 1, 1-2

Il popolo risponde: E con il tuo spirito.


Il sacerdote, o il diacono, o un altro ministro idoneo, può fare una brevissima presentazione della Messa del giorno.


A tale inizio, segue il saluto tra il celebrante e l’Assemblea, attraverso il quale inizia il dialogo che si prolungherà per tutta la celebrazione. Essa, infatti, non è il monologo di un singolo dinanzi al Signore (come il sacerdote, ad esempio, di molte religioni antiche), ma il dialogo tra tutto il popolo ed il suo Dio, che si manifesta attraverso le Scritture e la condivisione della Mensa.

Il saluto è sempre generato dalla Sacra Scrittura, sono sempre passi del Nuovo Testamento, al quale il popolo risponde, ancora una volta con l’Amen, poiché il loro contenuto è generalmente trinitario. Tale composizione del saluto è un’attestazione della fede della comunità nel mistero della Trinità sin dalle origini ed immette il popolo santo, radunato presso la Mensa, in quel circuito d’amore che è al fondamento della fede cristiana e della totale donazione del Cristo.

Questo inizio è importante anche per la nostra preghiera personale, poiché ci aiuta a comprendere in quale modo abbiamo a presentarci presso il Trono di Dio. La preghiera va preparata con l’atteggiamento di chi sa da un lato chi l’ha chiamato e dall’altro quale sia la propria dignità di salvato. La preghiera cristiana è l’incontro di tali due realtà (umana e divina) che non si fronteggiano, ma si cercano e si sposano, nella carne del Cristo, in modo indivisibile.

La presentazione della liturgia eucaristica deve essere breve, poiché i cristiani non sono chiamati ad ascoltare parole, ma la Parola, sarebbe necessario perciò delimitare banali inventive, preparandosi piuttosto a quello che è il senso della celebrazione.

lunedì 30 novembre 2009


Il Rito della messa

Iniziando il nostro percorso di scoperta della celebrazione Eucaristica, ecco i riti di introduzione che serviranno come base per le prossime catechesi


RITI DI INTRODUZIONE


Quando il popolo si è radunato, il sacerdote con i ministri si reca all’altare; intanto si esegue il CANTO D’INGRESSO.

Giunto all’altare,il sacerdote con i ministri fa la debita riverenza, bacia l’altare in segno di venerazione ed eventualmente lo incensa. Poi, con i ministri si reca alla sede.


Terminato il canto d’ingresso, sacerdote e fedeli, in piedi, fanno il SEGNO DELLA CROCE.

Il sacerdote dice:

Nel nome del Padre del Figlio
e dello Spirito Santo.

Il popolo risponde: Amen.


Segue il SALUTO, che il sacerdote rivolge al popolo allargando le braccia e dicendo:

La grazia del Signore nostro Gesù Cristo,
l'amore di Dio Padre
e la comunione dello Spirito Santo
sia con tutti voi. Cfr 2Cor 13,13

Il popolo risponde: E con il tuo spirito.

Oppure:
La grazia e la pace
di Dio nostro Padre
e del Signore nostro Gesù Cristo
sia con tutti voi. Cfr 1Cor 1,3

Il popolo risponde: E con il tuo spirito.
Oppure: Benedetto nei secoli il Signore.

Oppure:
Il Signore sia con voi.

Il vescovo dice: La pace sia con voi.
Il popolo risponde: E con il tuo spirito.

* Oppure:
Il Signore, che guida i nostri cuori
nell’amore e nella pazienza di Cristo,
sia con tutti voi Cfr 2 Ts 3,5

Il popolo risponde: E con il tuo spirito.

* Oppure:
Il Dio della speranza,
che ci riempie di ogni gioia
e pace nella fede
per la potenza dello Spirito Santo,
sia con tutti voi. Cfr Rm 15,13

Il popolo risponde: E con il tuo spirito.

* Oppure:
La pace, la carità e la fede
da parte di Dio Padre
e del Signore nostro Gesù Cristo
sia con tutti voi. Cfr Ef 6,23

Il popolo risponde: E con il tuo spirito.


* Oppure:
Fratelli, eletti secondo la prescienza di Dio Padre
mediante la santificazione dello Spirito
per obbedire a Gesù Cristo
e per essere aspersi del suo sangue,
grazia e pace in abbondanza a tutti voi. Cfr 1Pt 1, 1-2

Il popolo risponde: E con il tuo spirito.


Il sacerdote, o il diacono, o un altro ministro idoneo, può fare una brevissima presentazione della Messa del giorno.


Segue l’ATTO PENITENZIALE. Il sacerdote invita i fedeli al pentimento con queste parole o con altre simili.

1a formula: Fratelli,
per celebrare degnamente i santi misteri,
riconosciamo i nostri peccati.

* Oppure:

Il Signore Gesù,
che ci invita alla mensa della Parola e dell'Eucaristia,
ci chiama alla conversione.
Riconosciamo di essere peccatori
e invochiamo con fiducia la misericordia di Dio.

* Oppure, specialmente nelle domeniche:

Nel giorno in cui celebriamo
la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte,
anche noi siamo chiamati a morire al peccato
per risorgere alla vita nuova.
Riconosciamoci bisognosi della misericordia del Padre.

Si fa una breve pausa di silenzio.


Poi tutti insieme fanno la confessione:

Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli,
che ho molto peccato
in pensieri, parole, opere e omissioni,ù

e, battendosi il petto, dicono:

per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa.

E proseguono:
E supplico la beata sempre vergine Maria,
gli angeli, i santi e voi, fratelli,
di pregare per me il Signore Dio nostro.

Segue l’assoluzione del sacerdote:

Dio onnipotente abbia misericordia di noi,
perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna.

Il popolo risponde: Amen.
____________________________________________________________
2a formula: All’inizio di questa celebrazione eucaristica,
chiediamo la conversione del cuore,
fonte di riconciliazione e di comunione
con Dio e con i fratelli.

* Oppure:

Umili e pentiti come il pubblicano al tempio,
accostiamoci al Dio giusto e santo,
perché abbia pietà anche di noi peccatori.

Si fa una breve pausa di silenzio.

Poi il sacerdote dice:

Pietà di noi, Signore.

Il popolo risponde:

Contro di te abbiamo peccato.

Il sacerdote prosegue:

Mostraci, Signore, la tua misericordia.

Il popolo risponde:

E donaci la tua salvezza.

Segue l’assoluzione del sacerdote, come indicato prima.


3a formula: Gesù Cristo, il giusto, intercede per noi
e ci riconcilia con il Padre.
Apriamo il nostro spirito al pentimento,
per essere meno indegni
di accostarci alla mensa del Signore.

* Oppure:

Il Signore ha detto:
chi di voi è senza peccato, scagli la prima Pietro.
Riconosciamoci tutti peccatori
e perdoniamoci a vicenda dal profondo del cuore.

Si fa una breve pausa di silenzio.


Poi il sacerdote, o un altro ministro idoneo, dice o canta le seguenti invocazioni o altre simili:

Signore,
mandato dal Padre a salvare i contriti di cuore,
abbi pietà di noi.

Il popolo risponde:

Signore, pietà. oppure: Kỳrie, elèison.

Sacerdote:

Cristo, che sei venuto a chiamare i peccatori,
abbi pietà di noi.

Il popolo risponde:

Cristo, pietà. oppure: Christe, elèison.

Sacerdote:

Signore, che intercedi per noi presso il Padre,
abbi pietà di noi.

Il popolo risponde:

Signore, pietà. oppure: Kỳrie, elèison.

Segue l’assoluzione del sacerdote, come indicato prima.
____________________________________________________________

Seguono le INVOCAZIONI Signore, pietà, se non sono state già dette o cantate per l’atto penitenziale.

V. Signore, pietà. oppure: V. Kỳrie, elèison.
R. Signore, pietà. R. Kỳrie, elèison

V. Cristo, pietà. V. Christe, elèison.
R. Cristo, pietà. R. Christe, elèison.

V. Signore, pietà. V. Kỳrie, elèison.
R. Signore, pietà. R. Kỳrie, elèison


Poi, quando è prescritto, si canta o si dice l’INNO:

Gloria a Dio nell'alto dei cieli
e pace in terra agli uomini di buona volontà.

Noi ti lodiamo, ti benediciamo,
ti adoriamo, ti glorifichiamo,
ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa,
Signore Dio, Re de1 cielo, Dio Padre onnipotente.

Signore, Figlio unigenito, Gesù Cristo,
Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del Padre;
tu che togli i peccati del mondo,
abbi pietà di noi;
tu che togli i peccati del mondo,
accogli la nostra supplica;
tu che siedi alla destra del Padre,
abbi pietà di noi.

Perché tu solo il Santo,
tu solo il Signore,
tu solo l'Altissimo:
Gesù Cristo,
con lo Spirito Santo:
nella gloria di Dio Padre. Amen.


Terminato l’inno, il sacerdote, a mani giunte dice:

Preghiamo

E tutti, insieme con il sacerdote, pregano in silenzio per qualche momento.
Quindi il sacerdote allarga le braccia e dice la COLLETTA.


La colletta termina con la conclusione lunga:

- se è rivolta al Padre:

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.

- se è rivolta al Padre, ma verso la fine dell’orazione si fa menzione del Figlio:

Egli è Dio, e vive e regna con te,
nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.

- se è rivolta al Figlio:

Tu sei Dio, e vivi e regni con Dio Padre,
nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.

Il popolo acclama:

Amen

martedì 10 novembre 2009

La preghiera di Lode



Lo Splendore della gloria di Dio si manifesta in una forma particolare di preghiera che condividiamo con gli angeli ed i santi del cielo: la lode-adorazione.
Quando lodiamo il nostro cuore non è più ancorato alle preoccupazioni del mondo per le quali chiedere a Dio, non è legato a ciò che di contingente ci circonda, esso direttamente punta al cuore stesso di Dio, ne vede il mistero e lo contempla, si innalza fino a partecipare al flusso infinito di Amore che è l'essenza del nostro Dio. La lode infatti non si sofferma su questo o su quell'altro dono di Dio, ma direttamente si immerge nel suo splendore, nella sua luce e ne riconosce la Signoria, la regalità, la maestà.

La Chiesa che cammina sulla terra, quando si innalza nella lode, diviene completamente celeste, poiché adora il suo Sposo faccia a faccia, si assiede alla sua destra, non guardando più a se stessa, ma solo a Lui ed al suo Amore. La lode è la preghiera del Paradiso, poiché racconta di Dio ciò che Egli è e trasforma ciò che Egli fa in rivelazione della sua stessa essenza.

E' la preghiera apocalittica che si innalza al Padre per mezzo del Figlio nello Spirito

“L'Agnello che fu immolato è degno di ricevere potenza, ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione” (Ap 5,12).

L'adorazione di ciò che Dio è nel suo mistero di amore è quanto di più grande lo Spirito concede all'uomo, è la liturgia estatica (fuori di sé) di chi è completamente decentrato. Non ha più importanza la fragilità, il passato, il futuro, il peccato, poiché tutto scompare dinanzi alla Gloria del Signore che si manifesta e che riempie il tempio che noi stessi siamo.

Dare lode a Dio è dare a Lui ciò che è suo, è riconoscere la sua Signoria sulla nostra vita e sul mondo, sulla storia e sugli eventi belli o brutti che caratterizzano il cammino di tutti e di ciascuno. Affermare la degnità di Dio, significa affermare la sua assoluta padronanza di qualsiasi cosa sia sotto il cielo e nel cielo e contemporaneamente affermare la nostra dignità di creature nuove, liberate e redente dal Sangue dell'Agnello.

La preghiera di lode è affastellamento di riconoscenza, nella quale non si esplicita più il perché od il motivo della lode stessa. La sua radice non è il relativo od il passeggero, ma Dio stesso e la sua opera di Salvezza:

“Noi ti rendiamo grazie, Signore Dio onnipotente, che sei e che eri, perché hai messo mano alla tua grande potenza e hai instaurato il tuo Regno” (Ap 110,17).

Riconoscere che il Signore è colui che è, significa affermare che la sua mano si stende sul tempo e sulla storia e che il suo progetto di Misericordia non è accidentale, ma è emanazione di ciò che Egli stesso è da sempre: Amore. Per tale motivo l'instaurazione del Regno non può non essere accompagnata dalla lode, poiché chi loda, misteriosamente, fa avanzare la luce del Regno, combatte in maniera piena la battaglia spirituale contro le forze del nemico, poiché partecipa in modo completo alla potenza stessa di Dio. La lode è lo strumento per il quale crolla qualsiasi fortezza del nemico e qualsiasi nostra resistenza, poiché è la pienezza della presenza dello Spirito in noi, il quale svela e manifesta i misteri di Dio al nostro cuore.

“Chi non temerà o Signore, e non glorificherà il tuo nome? Poiché tu solo sei santo” (Ap 15,3)

Non ci sono motivi per glorificare il Nome di Dio, se non Dio stesso e la sua Santità. Ciò che Egli compie per noi, pur essendo fondamentale, non uguaglia la gloria della sua stessa persona, donatasi a noi nel suo Figlio Gesù, il quale nello Spirito riconosce in noi la potenza del Padre. Manifestandosi potente Agnello Risorto, Egli ci ha aperto le porte del cielo, poiché ci ha immessi nella corrente infinta d'amore che intercorre tra Lui ed il Padre, quella corrente che è lo stesso Spirito. Ora l'amore, non ha bisogno di molte parole, ma semplicemente riconosce l'amato, lo eleva, lo innalza, non perché ha fatto questo o quello, ma per il fatto stesso di esserci e di esserci così com'è.

Nel momento in cui lodiamo Dio, noi non stiamo chiedendo altro a Dio di essere ciò che è, meglio, lo riconosciamo per ciò che Egli è, abbandoniamo qualsiasi nostra idea di Lui per accettarlo così come Egli è, ovvero il Santo Signore che tiene nelle sue mani il destino del mondo.

La lode è così accesso al futuro, è penetrazione dei tempi che saranno, per questo in essa possiamo vedere la nuova Gerusalemme, possiamo contemplare il suo splendore e rallegrarci: diventiamo testimoni degli eventi futuri, che nella lode ci sono già misteriosamente contemporanei

“Alleluia! Ha preso possesso del suo Regno il Signore, il nostro Dio l'Onnipotente” (Ap 19,6)

Che il Signore prenda possesso del suo Regno non significa altro che le potenze che a questo Regno si oppongono, sono abbattute; che qualsiasi falsa signoria è crollata dinanzi alla gloria stessa dell'Agnello, manifestata nella sua morte e Resurrezione. La Parusia, cioè il ritorno del Signore nella sua Gloria è un evento che avviene ogni qual volta, nella preghiera, lo riconosciamo come Signore e Salvatore. L'abbandono più grande non avviene quando ci offriamo al suo Amore, ma quando anche quest'atto di offerta diviene superfluo, poiché ciò che conta non è ciò che noi facciamo per Lui, ma ciò che egli è in se stesso e perciò per noi.

In Dio, nel Dio cristiano, non c'è infatti alcuna distinzione fra quanto Egli è nel suo profondo mistero e quanto ha compiuto per noi, poiché nell'uno e nell'altro caso Egli è semplicemente amore che si dona, ricchezza che si manifesta, sorgente inesauribile che si riversa senza fine. Il Dio cristiano non cela misteri inconoscibili al suo interno, ma rivela la sua natura nel dono del Cristo e nell'offerta dello Spirito.

Per tale motivo la Chiesa, i cristiani, non temono di richiedere il ritorno del Cristo nella storia ed oltre essa, poiché sanno che ad attenderli non è qualcosa di terribile, ma ancora una volta un'offerta infinita d'amore. Per questo esso dicono “Vieni”, perché nella lode riconoscono che la venuta del Cristo è instaurazione definitiva del Regno, è bellezza senza fine.

La lode è perciò contemporaneamente presenza e nostalgia, è attesa e compimento, è visione e velo. La lode ci decentra, poiché mette al centro, nello Spirito, il Cristo glorioso che consegna ogni cosa, anche ciascuno di noi, al Padre. In questo la morte è sconfitta, il peccato diviene definitivamente passato e la vita risorge interamente. Per tale porta i cristiani entrano nel Regno e diventano infine cittadini dei Santi e concittadini di Dio.

Per tale motivo la lode può esistere solo se ispirata dallo Spirito, poiché comporta un tale spossessamento di sé, da poter avvenire solo se un Altro prende completo possesso del cuore, della mente, dell'uomo nella sua interezza.

La lode è perciò presenza stessa di Dio che si manifesta nel suo Splendore salvifico. E' ritrovarsi dinanzi al Roveto ardente, riconoscendo nelle fiamme che non bruciano la bellezza stessa di Dio, che viene a darci un Fuoco che non consuma, ma rende ogni cosa luogo della sua presenza.

Maria, in questo senso ci aiuta a comprendere il mistero di tale preghiera con il suo

“L'anima mia magnifica il Signore ed il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva, d'ora in poi tutte le generazioni m chiameranno beata”.

Magnificare Dio vuol dire riconoscere la sua grandezza, che rende poi all'uomo l'esultanza. Guardare a Lui vuol dire perciò poter guardare la storia con la sua stessa visione, poiché essa, nel suo insieme diviene storia di salvezza, nella quale si compie il mistero dell'amore di Dio per gli uomini. Lodare lui vuol dire allora, entrare in una vera relazione con lui, con noi stessi e con gli altri, poiché la lode distrugge alla base qualsiasi forma di giudizio e pregiudizio, nei confronti suoi, della nostra vicenda e di quella degli altri. Riconoscere Lui vuol dire infine riconoscere noi stessi, e per questo non preoccuparsi più di nulla, poiché chi loda è entrato già nel Regno e come afferma Gesù stesso

Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6, 33)

Nella Lode, dunque riceviamo ogni cosa, poiché in essa ritroviamo il Regno ed entriamo in esso, per sempre.

giovedì 22 ottobre 2009

Preghiera di guarigione


III Riunione: La preghiera di guarigione

Una forma ricorrente di preghiera di intercessione è quella legata alla guarigione, intesa qui sia nel senso propriamente fisico che in quello spirituale (od esistenziale). Già nell’Antico Testamento, Dio appare come Colui che guarisce, come il medico che risana. Si legge nell’Esodo:
26 Disse: «Se tu ascolterai la voce del Signore tuo Dio e farai ciò che è retto ai suoi occhi, se tu presterai orecchio ai suoi ordini e osserverai tutte le sue leggi, io non t'infliggerò nessuna delle infermità che ho inflitte agli Egiziani, perché io sono il Signore, colui che ti guarisce!» (Es 15, 26)

E’ subito da rilevare che:

1) il Nome del Signore è pressoché un tutt’uno con il suo volere di guarire l’uomo, quasi che la guarigione sia proprio la modalità di riconoscimento della sua presenza. “Io sono il Signore, colui che ti guarisce”. Tale affermazione diviene roccia incrollabile, poiché rivela pienamente la volontà di Dio su di noi: egli non vuole la nostra sofferenza ed il nostro dolore. Egli vuole invece la vita, la gioia, la nostra salvezza. Per tale motivo il suo modo di presentarsi è legato proprio al suo operare “Sono colui che ti guarisce”;

2) la guarigione viene collegata con l’ascolto della Parola. E’ la Parola che guarisce, non qualche forma di magia o di potere. Più l’uomo si accosta a Dio ed ascolta il suo volere, più viene guarito dalle sue infermità e può intercedere perché gli altri siano guariti.
Quella di guarigione è allora una preghiera fondamentale, poiché manifesta la potenza di Dio al mondo, la sua volontà d’amore su ognuno di noi. In questo senso l’azione di Gesù ed il suo ministero vanno proprio a manifestare questa realtà.

Si tenga presente però, che primariamente è necessario avere coscienza della propria infermità. Al cieco che si presenta dinanzi a lui Gesù chiede “Cosa vuoi che io ti faccia?” (Mc 10,51). Una domanda, questa, apparentemente inutile. Cosa è, per paradosso, più visibile di una cecità? Invece Gesù chiede, egli desidera che il malato abbia coscienza della sua infermità, della sua malattia, non fugga da essa, ma la presenti. La domanda “Cosa vuoi che io ti faccia” è spiazzante per l’uomo, che tende a pretendere da Dio la guarigione, senza manifestargli la sua malattia, quasi che Dio la vedesse e che per questo dovrebbe automaticamente soccorrerlo. Al contrario il movimento di Dio è quello proprio dell’amore, che si china a chiedere, a prender parte al dolore, attendendo che l’uomo chieda quello che desidera.

Alla richiesta di Gesù, ecco che cosa avviene:
E il cieco a lui: «Rabbunì, che io riabbia la vista!». 52 E Gesù gli disse: «Va', la tua fede ti ha salvato». E subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per la strada (Mc 10,51-52)
Il cieco risponde in ciò che è suo, risponde con la propria verità. Non si adira per la domanda postagli, ma al contrario risponde con il suo desiderio. Il desiderio è di per sé nulla, ma è il luogo proprio dell’azione di Dio, poiché dilata il cuore dell’uomo a misure inimmaginabili. Un attenzione particolare va posta però sulla risposta che Gesù dà al cieco. Non gli dice, infatti “Vedi”, ma “Va, la tua fede ti ha salvato”. Anche la preghiera di guarigione, come quella di intercessione è un atto di fede, profonda, nella volontà misericordiosa di Dio.


Normalmente la visione che l’uomo conduce in se stesso di Lui è quella negativa, fondata sull’ascolto del serpente: Dio è invidioso dell’uomo, non vuole la sua gioia ma la sua sofferenza. L’atto invece di credere alla bontà di Dio, al suo meraviglioso progetto sugli uomini, compie proprio quel passaggio per il quale iniziano ad avvenire miracoli, dentro di noi e fuori di noi. La guarigione, infatti, connessa sempre all’ascolto della Parola, è innanzi tutto interiore. L’uomo viene guarito dalle tenebre che attanagliano il suo cuore, ascoltando la Luce che si manifesta nella Parola. In seguito, proprio tale ascolto, guarisce anche il fisico dell’uomo, sia nella visione che la persona ha della malattia, che nella malattia stessa. La preghiera di guarigione è perciò, ancora una volta una grande esperienza di fede nel Volto di Dio rivelatoci in Cristo, Colui che si è caricato le nostre infermità, trasformandole in forza di Resurrezione e di vita.


Questa coscienza conduce perciò Giacomo ad affermare:

14 Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. 15 E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati. 16 Confessate perciò i vostri peccati gli uni agli altri e pregate gli uni per gli altri per essere guariti. Molto vale la preghiera del giusto fatta con insistenza (Gc 5, 14-16)


Questo passo, che manifesta l’uso sin dai primordi della Chiesa, di un rito appropriato nel caso della presenza di fedeli malati in seno alla comunità (quella che poi sarebbe divenuta “l’unzione degli infermi”), svela anche la verità profonda della malattia, che non è innanzitutto quella fisica, ma quella spirituale. Non c’è nessuno che non sia malato, poiché tutti viviamo nella cancrena del peccato e della morte. Per tale motivo va richiesta la guarigione, per tale motivo, insieme ai fratelli, dobbiamo pregare Dio Padre di donarci la guarigione, ma tale preghiera deve essere vissuta con fede, poiché è proprio la fede che ottiene la guarigione a tutti i livelli.


Quanto affermato non vuol dire che la persona sofferente sia più peccatrice degli altri (anche se tendenzialmente pensiamo che sia così, con il nostro inadeguato metro di giudizio). Il peccato non è cosa solo personale, in qualche modo si propaga gli uni gli altri, manifestandosi in modo sempre diverso. Malattie, scompensi, situazioni di deviazione sono sempre emanazioni del peccato comune (non personale), per questo la guarigione è proprio manifestazione della venuta del Regno in mezzo a noi. Ogni volta che qualcuno si pone in stato di guarigione (poiché la guarigione non è semplicisticamente un atto compiuto, ma un sempre continuo divenire), in realtà sta affermando che il Regno è presente, che nel Nome di Gesù questo Regno avanza, che Gesù stesso è presente in mezzo ai suoi per guarirli e liberarli.


La preghiera di guarigione, come quella di intercessione è perciò sempre un atto di fraternità, è il riconoscimento della propria malattia, per chiedere al Signore la liberazione non solo per se stessi, ma anche per gli altri, anzi soprattutto per gli altri. Non è un caso che i malati siano condotti a Gesù da altri, poiché la fede di tutti nel Medico e Signore, muove la mano stessa di Dio a risollevarsi per liberare dalla malattia e dalla morte e guarire.

giovedì 8 ottobre 2009

La preghiera di intercessione





II Riunione : L'intercessione


La prima forma di preghiera che ci viene rivelata è quella di intercessione. Intercedere non vuol dire porsi tra Dio castigatore e l’uomo, ma farsi compagno dell’uomo dinanzi a Dio. Essa ha delle misure che travalicano i nostri semplici bisogni e si conclude sempre nel riconoscimento della misericordia di Dio. Uno degli esempi che rintracciamo subito nella Scrittura è quello dell’intercessione presso Dio da parte di Abramo:

Allora Abramo gli si avvicinò e gli disse: «Davvero sterminerai il giusto con l'empio? 24 Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? 25 Lungi da te il far morire il giusto con l'empio, così che il giusto sia trattato come l'empio; lungi da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?». 26 Rispose il Signore: «Se a Sòdoma troverò cinquanta giusti nell'ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutta la città».27 Abramo riprese e disse: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere... 28 Forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?». Rispose: «Non la distruggerò, se ve ne trovo quarantacinque». 29 Abramo riprese ancora a parlargli e disse: «Forse là se ne troveranno quaranta». Rispose: «Non lo farò, per riguardo a quei quaranta». 30 Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora: forse là se ne troveranno trenta». Rispose: «Non lo farò, se ve ne troverò trenta». 31 Riprese: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore! Forse là se ne troveranno venti». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei venti». 32 Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta sola; forse là se ne troveranno dieci». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei dieci». 33 Poi il Signore, come ebbe finito di parlare con Abramo, se ne andò e Abramo ritornò alla sua abitazione.
(Gn 18, 23-33)

Notiamo innanzitutto alcuni fondamentali passaggi:

1) Abramo si avvicinò al Signore – non è possibile pensare ad alcuna preghiera che non sia fondata su questo “avvicinarsi”, rendersi prossimi a Dio. E’ un mistero molto grande quello che ci viene rivelato: la preghiera è innanzi tutto un accostarci a qualcuno, del quale riconosciamo il potere di servizio e l’ascolto. Frutto questo, del suo accostarsi a noi, del suo porgere a noi il suo Volto di misericordia. Dio vuole essere pregato, poiché la sua giustizia non richiede innanzi tutto la pena, ma l’intercessione, la scoperta cioè della nostra carenza per sovvenire alle carenze degli altri.
2) Abramo riprende più volte la preghiera – è sconcertante la fiducia di Abramo, non nella bontà degli uomini (il numero dei giusti viene mano a mano ridotto), ma nell’ascolto di Dio. Egli si pone dinanzi a Lui con la dignità propria di chi vive una confidenza appassionata e per questo sa di poter ottenere tutto. Tale dignità non nasce dalla coscienza del proprio merito (nessuno è santo dinanzi a Dio), ma proprio dal riconoscimento della propria nullità (“Sono polvere e cenere”). L’umiltà propria dell’atteggiamento di preghiera (ma direi esistenziale) non è perciò una forma di denigrazione di se stessi, ma al contrario l’affermazione realistica di ciò che si è, dinanzi alla Bellezza stessa. Il riconoscimento di sé è all’inizio di qualsiasi vera conversione.
3) Abramo, alla fine della preghiera, ritorna alla propria abitazione – la fine della preghiera non consiste in uno stare, ma sempre in un andare, in un ritornare nel proprio mondo, con la fiducia che Dio compirà la sua opera, secondo la sua parola. In questo allontanarsi, c’è il senso del precedente avvicinarsi. Abramo si presenta dinanzi al Signore, per poi tornare agli uomini per i quali ha intercesso. E’ un movimento continuo.

La preghiera di intercessione, inoltre, riposa sulla certezza che Dio vuole operare secondo misericordia. In questo caso è molto istruttiva la pochezza di Giona, il quale, quando Ninive non viene distrutta, così si lamenta con Dio

Ma Giona ne provò grande dispiacere e ne fu indispettito. 2 Pregò il Signore: «Signore, non era forse questo che dicevo quand'ero nel mio paese? Per ciò mi affrettai a fuggire a Tarsis; perché so che tu sei un Dio misericordioso e clemente, longanime, di grande amore e che ti lasci impietosire riguardo al male minacciato. 3 Or dunque, Signore, toglimi la vita, perché meglio è per me morire che vivere!». 4 Ma il Signore gli rispose: «Ti sembra giusto essere sdegnato così?».5 Giona allora uscì dalla città e sostò a oriente di essa. Si fece lì un riparo di frasche e vi si mise all'ombra in attesa di vedere ciò che sarebbe avvenuto nella città. 6 Allora il Signore Dio fece crescere una pianta di ricino al di sopra di Giona per fare ombra sulla sua testa e liberarlo dal suo male. Giona provò una grande gioia per quel ricino.7 Ma il giorno dopo, allo spuntar dell'alba, Dio mandò un verme a rodere il ricino e questo si seccò. 8 Quando il sole si fu alzato, Dio fece soffiare un vento d'oriente, afoso. Il sole colpì la testa di Giona, che si sentì venir meno e chiese di morire, dicendo: «Meglio per me morire che vivere».9 Dio disse a Giona: «Ti sembra giusto essere così sdegnato per una pianta di ricino?». Egli rispose: «Sì, è giusto; ne sono sdegnato al punto da invocare la morte!». 10 Ma il Signore gli rispose: «Tu ti dai pena per quella pianta di ricino per cui non hai fatto nessuna fatica e che tu non hai fatto spuntare, che in una notte è cresciuta e in una notte è perita: 11 e io non dovrei aver pietà di Ninive, quella grande città, nella quale sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra, e una grande quantità di animali?». (Gi 4, 1-11)

L’uomo tendenzialmente, non ha a cuore il suo prossimo, poiché fonda le sue misurazioni su un’idea errata di giustizia, per la quale alla base di tutto deve esserci la certezza della pena per chi ha errato (in questo viene tradita un’immagine semplicistica anche dell’uomo, decisamente al di sopra delle sue reali possibilità). La giustizia di Dio è invece fondata sulla conoscenza della pochezza dell’uomo, perciò essa, piuttosto che giudicare, pone Dio stesso al posto del peccatore, assumendosene il male. Giona, infine (come spesso ci accade), non è contento della misericordia di Dio, anzi la giudica secondo il suo metro, per questo poi Dio può rispondergli attraverso l’esempio del ricino.

La preghiera di intercessione ha dunque una caratteristica fondamentale: distruggere dall’interno il nostro giudizio. Essa deve cioè allargarsi a dismisura, su coloro che ci stanno intorno, poiché il giudizio sulle azioni, viene rimesso completamente a Dio, il quale, solo, conosce le profondità dei cuori.

Anche nel Nuovo Testamento ritroviamo questa medesima larghezza di orizzonti: Gesù si presenta (ed è) non solo il Volto Misericordioso di Dio manifestato agli uomini, ma il maestro dell’intercessione. Egli si mostra come il fratello, il compagno di ciascun uomo nella sua realtà di gioia e sofferenza. E’ interessante rilevare, però, che l’intercessione di Gesù mostra una caratteristica che dovrebbe essere del cristiano e che rappresenta un significativo passo avanti nella visione di Dio. Nel momento, ad esempio, in cui dà nuova vita a Lazzaro, così egli afferma:

«Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. 42 Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». (Gv 11, 41-42).

Egli, cioè loda il Padre per qualcosa che non è ancora avvenuto, ma del quale ha certezza. L’intercessione per il cristiano è innanzitutto una confessione di fede in Dio, nella sua misericordia, nella sua volontà di volere il bene dell’uomo, senza ma e senza se, con tempi e modalità che certo sono altre rispetto alle nostre, ma che non per questo, lasciano l’uomo a mani vuote. Questo atteggiamento è tanto importante che Gesù stesso lo richiede, proprio nella stessa occasione, a Marta, sorella di Lazzaro:

39 Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, già manda cattivo odore, poiché è di quattro giorni». 40 Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?» (Gv 11, 39-40)

L’intercessione cristiana (ovvero in Cristo Gesù), va oltre le apparenze. Il mondo, in fondo, mostra solo un volto (ed appannato) della realtà. Il Cristo invece richiede al cristiano uno sguardo diverso che non si ferma alla decomposizione delle situazioni, storie, realtà personali che ci troviamo innanzi, ma si volge direttamente alla Gloria di Dio. L’intercessione è insomma una manifestazione della fede, per questo motivo, ogni volta che ci troviamo ad intercedere in realtà ci troviamo esauditi doppiamente: da un lato perché noi stessi veniamo trasformati dall’intercessione (che ci decentra e che è un’opera proprio dello Spirito), dall’altro perché abbiamo la certezza che il Signore opera in quella situazione per la quale stiamo pregando. Per tale motivo tale forma di preghiera è fondata sulla presenza dello Spirito, il Consolatore e sempre su questo raggio è possibile intuire perché la forma di intercessione più rilevante non è quella legata a questa o quella situazione, ma alla presenza stessa dello Spirito in noi, tanto che Gesù può dire:

A chi bussa sarà aperto. 11 Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? O se gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? 12 O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? 13 Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!» (Lc 11,10-13)

Il Signore non si nasconde l’incapacità dell’uomo non solo di compiere il bene, ma perfino di chiederlo; proprio per questo dona all’uomo un cuore nuovo, nel quale l’agente principale di ogni mozione è lo Spirito stesso, richiesto e donato dal Padre. Il punto però rimane quello espresso prima: la fede che lo Spirito richiesto nell’intercessione è anche certamente donato dal Padre, che vuole darci cose buone, che vuole crearci a sua piena immagine.

La prima preghiera di intercessione è allora proprio quella che riguarda lo Spirito di Dio, dal quale poi riceviamo tutti i doni e soprattutto la fede per credere che Dio opera, anche attraverso la nostra preghiera, di là ed oltre ogni nostra attesa. Ecco allora che ritroviamo qui proprio la presenza di Maria, la quale vive di questa fede profondissima, tanto da dire, anche di fronte ad un apparente diniego del Figlio “Fate quello che Egli vi dirà” (Gv 2,5), ed in questo quasi “costringere” (proprio per la sua fede) il Signore ad operare. Essere cristiani, essere intercessori, vuol dire dunque essere innanzitutto, come Maria, confessori della potenza di Dio che opera, lasciando a Lui le modalità dell’operazione e fidandoci pienamente del suo Amore. In altre parole credere che egli, avendoci dato il suo Figlio e lo Spirito, ci darà ogni altra cosa, dalla più piccola, alla più grande ed inattesa.

mercoledì 23 settembre 2009

La preghiera (per un senso generale)


Riunione del 23/09/09


La Preghiera (per un senso generale)


Diventare uomini e donne di preghiera vuol dire innanzi tutto comprendere cosa significhi pregare e a quale dignità ci apra la preghiera.
Nella tradizione ebraica e cristiana, essa è innanzi tutto un porsi di Dio dinanzi a noi tanto che così si dice di Mosè:

Or il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come un uomo parla col proprio amico (Es 33, 11).

Tale affermazione apre uno scenario di prima grandezza. La preghiera non è e non può essere percepita come un flusso incontrollato di parole (per quanto belle), ma è innanzi tutto un rapporto che avviene nell’intimità di un incontro. E’ parlare non a Dio, ma con Dio “faccia a faccia”, tenendo ben chiaro che il soggetto di tale inaudita azione è Dio stesso: lui che si china a parlare con gli uomini, con un atteggiamento che richiama quello confidente e senza pregiudizi dell’amico.

La preghiera cristiana si presenta allora innanzi tutto come relazione con un Altro, dal quale veniamo interpellati e perfino sedotti, secondo l’affermazione di Geremia

Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre;mi hai fatto forza e hai prevalso (Ger 20, 7a).

Il rapporto con Dio è infatti, quanto di più misterioso possa esserci donato. Egli si presenta a noi e come un amante ci seduce con il suo amore, perché dopo averlo amato e gustato possiamo cercarlo ancora. La preghiera è allora questo movimento di avvicinamento e contemporaneamente di allontanamento che si presenta come una danza, nella quale all’amore ed al trasporto si uniscono anche la nostalgia ed il desiderio, luogo per eccellenza della preghiera. Solo nel desiderio, infatti siamo capaci di cercare Dio e di allargare il nostro cuore a tal punto da riceverlo, nel momento in cui Egli si presenta.

La preghiera, proprio per questa sua dinamica interna, non può essere sempre uniforme, ma si connette strettamente alla nostra vita, raccogliendone le gioie, le sofferenze, le istanze, in un’apertura costante all’adorazione, al riconoscimento di Lui in quanto Lui e di noi in quanto noi.

Essa è inoltre frutto del cuore del singolo, ma pure momento di comunione con gli altri, anche quando essi non siano presenti; paradossale momento nel quale i limiti dello spazio e del tempo si frantumano, venendo noi inseriti all’interno del circuito sovratemporale per il quale la prima preghiera/adorazione non si svolge su questa terra, ma direttamente nel Regno, in quella liturgia celeste, della quale gli angeli sono ministri

E dalla mano dell'angelo il fumo degli aromi salì davanti a Dio insieme alle preghiere dei santi (Ap 8,4).

Se il Regno di Dio è perciò il luogo dell’adorazione e della preghiera (intesa pure come implorazione ed intercessione), ciò vuol dire che nel momento in cui Egli si pone dinanzi a noi, l’uomo, ciascuno di noi, entra nel Regno, si pone in comunione con tutta la Chiesa celeste e terrestre. Si entra cioè in una dinamica relazionale diversa che supera integralmente i limiti fisici o temporali. L’uomo in preghiera è l’uomo trasfigurato, che vive nella pienezza la sua realtà.

Tale affermazione sembra però contrastare con le difficoltà oggettive che incontriamo quando ci poniamo in orazione. Essa ci appare a volte arida, inascoltata, un bussare senza risposta. A questo “sentire” ha risposto Gesù con una parabola che è bene rileggere:

5 Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e va da lui a mezzanotte e gli dice: "Amico, prestami tre pani, 6 perché un amico mi è arrivato in casa da un viaggio e non ho nulla da mettergli davanti"; 7 e se quello dal di dentro gli risponde: "Non darmi fastidio; la porta è già chiusa, e i miei bambini sono con me a letto, io non posso alzarmi per darteli", 8 io vi dico che se anche non si alzasse a darglieli perché gli è amico, tuttavia, per la sua importunità, si alzerà e gli darà tutti i pani che gli occorrono» (Lc 11,5-8)

Inquadrare questa parabola, significa innanzi tutto cogliere il momento nel quale essa si svolge: è notte, anzi è il cuore della notte, momento nel quale l’uomo si stringe attorno alla sua cecità, tempo del pericolo e simbolicamente della tentazione. Eppure il protagonista della Parabola esce, ha un urgente bisogno e va a bussare non ad una persona qualsiasi ma ad un amico. Il Padre è rappresentato come un amico, come qualcuno con il quale esiste una confidenza, una vicinanza di intenti. Si noti però subito che la richiesta dell’uomo all’amico non è motivata da una bisogno personale. Egli chiede qualcosa per qualcun altro, chiede del pane (appena prima Gesù aveva presentato ai suoi la preghiera del Padre nostro, dove proprio una delle richieste è quella del pane) per un altro uomo arrivato da un viaggio. La preghiera è attenta e rivolta ai bisogni non personali ma di qualcuno che si trova in una situazione di disagio (il rapporto che viene citato è sempre quello dell’amicizia).
La risposta che giunge dall’interno è drammatica “Non darmi fastidio; la porta è già chiusa e i miei bambini sono con me a letto, io non posso alzarmi per darteli”. C’è un diniego chiaro, come un blocco, quasi una stasi nel rapporto. Eppure il richiedente insiste, perché sa di essere ascoltato, ha sperimentato che dall’altra parte c’è qualcuno che infine lo ascolterà. Anche se alla richiesta sembra non esserci che un rifiuto, una freddezza, una distanza, l’uomo continua a confidare nell’amico, tanto che Gesù concluderà dicendo “io vi dico che se anche non si alzasse a darglieli perché gli è amico, tuttavia, per la sua importunità, si alzerà e gli darà tutti i pani che gli occorrono”.
L’attesa viene oltrepassata dal dono: non verranno dati i semplici tre pani, ma tutto ciò che gli occorre poiché il dono di Dio supera ed eccede l’aspettativa ed il desiderio.
La preghiera perciò anche quando appare inascoltata, è in realtà una breccia nel cuore di Dio, che risponde non con la misura della domanda dell’uomo, ma con la larghezza della sua misericordia, seppure spesso, in modo diverso dalle nostre attese.
Deve perciò accompagnare la nostra preghiera questo atteggiamento di fede, questa certezza che il Signore non ci lascerà inascoltati.

Un’altra situazione analoga, la si incontra nella parabola della vedova e del giudice, sempre di Luca:

1 Disse loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi: 2 «C'era in una città un giudice, che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno. 3 In quella città c'era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: Fammi giustizia contro il mio avversario. 4 Per un certo tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: Anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno, 5 poiché questa vedova è così molesta le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi». 6 E il Signore soggiunse: «Avete udito ciò che dice il giudice disonesto. 7 E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui, e li farà a lungo aspettare? 8 Vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?». (Lc 18,1-8)


Anche in questo caso la situazione si presenta drammatica: una donna vedova, (cioè sola ed impotente), va a chiedere giustizia ad un giudice, poiché ha probabilmente subito un torto. Tale personaggio pubblico non viene rappresentato retto di cuore o longanime. Dalla descrizione, anzi, si potrebbe immaginare come il precipitato dell’ “umanamente” peggio e per tale motivo non vuole ascoltarla. Eppure, proprio per l’insistenza della donna, tale ascolto ha luogo e la giustizia viene compiuta.
La conclusione del discorso di Gesù è molto interessante:

"Avete udito ciò che dice il giudice disonesto. 7 E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui, e li farà a lungo aspettare? 8 Vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”


Se anche un uomo malvagio può fare giustizia ad una povera vedova per le sue insistenze, quanto e più il Signore, che è buono e misericordioso, non farà giustizia per i suoi, ovvero non darà loro la dignità che il suo Amore da sempre desidera? Il punto non è però l’opera di Dio, che comunque si compie, quanto l’opera degli uomini, che peccano di mancanza di fiducia, tanto che Gesù finisce per chiedersi se al suo ritorno ci sarà ancora fede.

L’attesa cioè della giustizia di Dio nella vita cristiana ed in ciò che la anima, ovvero la preghiera, può condurre alla stanchezza, alla frustrazione se non è accompagnata e sostenuta da quella fede della quale parlavamo, dono dello Spirito Santo, poiché solo lo Spirito può condurci ad una fede salvifica, che si appoggi talmente alla Parola del Signore ed alla sua Promessa, da non temere nulla.

Se voi, dunque, che siete malvagi, sapete dare buoni doni ai vostri figli, quanto più il Padre celeste donerà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!” (Lc 18,13).

Questa è dunque la prima e più importante preghiera, quella con la quale si possono aprire le meraviglie del Regno dinanzi ai nostri occhi ed al nostro cuore: il dono dello Spirito.
Solo lo Spirito infatti conosce i misteri di Dio e del suo Amore, solo la sua Persona può indicarci la via che Dio vuole per noi e dunque anche il cammino dell’intercessione e della lode, da sempre desiderati per noi.
Nello Spirito è dunque possibile pregare, finalmente individuare quella preghiera che non si muove come una banderuola, guidata dal vento delle passioni o del semplice sentire, ma non escludendo quello, si ancora fortemente al Signore Gesù, che dello Spirito è il Donatore.