mercoledì 23 settembre 2009

La preghiera (per un senso generale)


Riunione del 23/09/09


La Preghiera (per un senso generale)


Diventare uomini e donne di preghiera vuol dire innanzi tutto comprendere cosa significhi pregare e a quale dignità ci apra la preghiera.
Nella tradizione ebraica e cristiana, essa è innanzi tutto un porsi di Dio dinanzi a noi tanto che così si dice di Mosè:

Or il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come un uomo parla col proprio amico (Es 33, 11).

Tale affermazione apre uno scenario di prima grandezza. La preghiera non è e non può essere percepita come un flusso incontrollato di parole (per quanto belle), ma è innanzi tutto un rapporto che avviene nell’intimità di un incontro. E’ parlare non a Dio, ma con Dio “faccia a faccia”, tenendo ben chiaro che il soggetto di tale inaudita azione è Dio stesso: lui che si china a parlare con gli uomini, con un atteggiamento che richiama quello confidente e senza pregiudizi dell’amico.

La preghiera cristiana si presenta allora innanzi tutto come relazione con un Altro, dal quale veniamo interpellati e perfino sedotti, secondo l’affermazione di Geremia

Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre;mi hai fatto forza e hai prevalso (Ger 20, 7a).

Il rapporto con Dio è infatti, quanto di più misterioso possa esserci donato. Egli si presenta a noi e come un amante ci seduce con il suo amore, perché dopo averlo amato e gustato possiamo cercarlo ancora. La preghiera è allora questo movimento di avvicinamento e contemporaneamente di allontanamento che si presenta come una danza, nella quale all’amore ed al trasporto si uniscono anche la nostalgia ed il desiderio, luogo per eccellenza della preghiera. Solo nel desiderio, infatti siamo capaci di cercare Dio e di allargare il nostro cuore a tal punto da riceverlo, nel momento in cui Egli si presenta.

La preghiera, proprio per questa sua dinamica interna, non può essere sempre uniforme, ma si connette strettamente alla nostra vita, raccogliendone le gioie, le sofferenze, le istanze, in un’apertura costante all’adorazione, al riconoscimento di Lui in quanto Lui e di noi in quanto noi.

Essa è inoltre frutto del cuore del singolo, ma pure momento di comunione con gli altri, anche quando essi non siano presenti; paradossale momento nel quale i limiti dello spazio e del tempo si frantumano, venendo noi inseriti all’interno del circuito sovratemporale per il quale la prima preghiera/adorazione non si svolge su questa terra, ma direttamente nel Regno, in quella liturgia celeste, della quale gli angeli sono ministri

E dalla mano dell'angelo il fumo degli aromi salì davanti a Dio insieme alle preghiere dei santi (Ap 8,4).

Se il Regno di Dio è perciò il luogo dell’adorazione e della preghiera (intesa pure come implorazione ed intercessione), ciò vuol dire che nel momento in cui Egli si pone dinanzi a noi, l’uomo, ciascuno di noi, entra nel Regno, si pone in comunione con tutta la Chiesa celeste e terrestre. Si entra cioè in una dinamica relazionale diversa che supera integralmente i limiti fisici o temporali. L’uomo in preghiera è l’uomo trasfigurato, che vive nella pienezza la sua realtà.

Tale affermazione sembra però contrastare con le difficoltà oggettive che incontriamo quando ci poniamo in orazione. Essa ci appare a volte arida, inascoltata, un bussare senza risposta. A questo “sentire” ha risposto Gesù con una parabola che è bene rileggere:

5 Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e va da lui a mezzanotte e gli dice: "Amico, prestami tre pani, 6 perché un amico mi è arrivato in casa da un viaggio e non ho nulla da mettergli davanti"; 7 e se quello dal di dentro gli risponde: "Non darmi fastidio; la porta è già chiusa, e i miei bambini sono con me a letto, io non posso alzarmi per darteli", 8 io vi dico che se anche non si alzasse a darglieli perché gli è amico, tuttavia, per la sua importunità, si alzerà e gli darà tutti i pani che gli occorrono» (Lc 11,5-8)

Inquadrare questa parabola, significa innanzi tutto cogliere il momento nel quale essa si svolge: è notte, anzi è il cuore della notte, momento nel quale l’uomo si stringe attorno alla sua cecità, tempo del pericolo e simbolicamente della tentazione. Eppure il protagonista della Parabola esce, ha un urgente bisogno e va a bussare non ad una persona qualsiasi ma ad un amico. Il Padre è rappresentato come un amico, come qualcuno con il quale esiste una confidenza, una vicinanza di intenti. Si noti però subito che la richiesta dell’uomo all’amico non è motivata da una bisogno personale. Egli chiede qualcosa per qualcun altro, chiede del pane (appena prima Gesù aveva presentato ai suoi la preghiera del Padre nostro, dove proprio una delle richieste è quella del pane) per un altro uomo arrivato da un viaggio. La preghiera è attenta e rivolta ai bisogni non personali ma di qualcuno che si trova in una situazione di disagio (il rapporto che viene citato è sempre quello dell’amicizia).
La risposta che giunge dall’interno è drammatica “Non darmi fastidio; la porta è già chiusa e i miei bambini sono con me a letto, io non posso alzarmi per darteli”. C’è un diniego chiaro, come un blocco, quasi una stasi nel rapporto. Eppure il richiedente insiste, perché sa di essere ascoltato, ha sperimentato che dall’altra parte c’è qualcuno che infine lo ascolterà. Anche se alla richiesta sembra non esserci che un rifiuto, una freddezza, una distanza, l’uomo continua a confidare nell’amico, tanto che Gesù concluderà dicendo “io vi dico che se anche non si alzasse a darglieli perché gli è amico, tuttavia, per la sua importunità, si alzerà e gli darà tutti i pani che gli occorrono”.
L’attesa viene oltrepassata dal dono: non verranno dati i semplici tre pani, ma tutto ciò che gli occorre poiché il dono di Dio supera ed eccede l’aspettativa ed il desiderio.
La preghiera perciò anche quando appare inascoltata, è in realtà una breccia nel cuore di Dio, che risponde non con la misura della domanda dell’uomo, ma con la larghezza della sua misericordia, seppure spesso, in modo diverso dalle nostre attese.
Deve perciò accompagnare la nostra preghiera questo atteggiamento di fede, questa certezza che il Signore non ci lascerà inascoltati.

Un’altra situazione analoga, la si incontra nella parabola della vedova e del giudice, sempre di Luca:

1 Disse loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi: 2 «C'era in una città un giudice, che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno. 3 In quella città c'era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: Fammi giustizia contro il mio avversario. 4 Per un certo tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: Anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno, 5 poiché questa vedova è così molesta le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi». 6 E il Signore soggiunse: «Avete udito ciò che dice il giudice disonesto. 7 E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui, e li farà a lungo aspettare? 8 Vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?». (Lc 18,1-8)


Anche in questo caso la situazione si presenta drammatica: una donna vedova, (cioè sola ed impotente), va a chiedere giustizia ad un giudice, poiché ha probabilmente subito un torto. Tale personaggio pubblico non viene rappresentato retto di cuore o longanime. Dalla descrizione, anzi, si potrebbe immaginare come il precipitato dell’ “umanamente” peggio e per tale motivo non vuole ascoltarla. Eppure, proprio per l’insistenza della donna, tale ascolto ha luogo e la giustizia viene compiuta.
La conclusione del discorso di Gesù è molto interessante:

"Avete udito ciò che dice il giudice disonesto. 7 E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui, e li farà a lungo aspettare? 8 Vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”


Se anche un uomo malvagio può fare giustizia ad una povera vedova per le sue insistenze, quanto e più il Signore, che è buono e misericordioso, non farà giustizia per i suoi, ovvero non darà loro la dignità che il suo Amore da sempre desidera? Il punto non è però l’opera di Dio, che comunque si compie, quanto l’opera degli uomini, che peccano di mancanza di fiducia, tanto che Gesù finisce per chiedersi se al suo ritorno ci sarà ancora fede.

L’attesa cioè della giustizia di Dio nella vita cristiana ed in ciò che la anima, ovvero la preghiera, può condurre alla stanchezza, alla frustrazione se non è accompagnata e sostenuta da quella fede della quale parlavamo, dono dello Spirito Santo, poiché solo lo Spirito può condurci ad una fede salvifica, che si appoggi talmente alla Parola del Signore ed alla sua Promessa, da non temere nulla.

Se voi, dunque, che siete malvagi, sapete dare buoni doni ai vostri figli, quanto più il Padre celeste donerà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!” (Lc 18,13).

Questa è dunque la prima e più importante preghiera, quella con la quale si possono aprire le meraviglie del Regno dinanzi ai nostri occhi ed al nostro cuore: il dono dello Spirito.
Solo lo Spirito infatti conosce i misteri di Dio e del suo Amore, solo la sua Persona può indicarci la via che Dio vuole per noi e dunque anche il cammino dell’intercessione e della lode, da sempre desiderati per noi.
Nello Spirito è dunque possibile pregare, finalmente individuare quella preghiera che non si muove come una banderuola, guidata dal vento delle passioni o del semplice sentire, ma non escludendo quello, si ancora fortemente al Signore Gesù, che dello Spirito è il Donatore.